Fifty years ago these days…

50 anni è esattamente il tempo passato da quando, al termine della formazione con Intercultura (a quel tempo AFSAI), del viaggio transoceanico (per la prima volta in aereo) e della preparazione al soggiorno all’estero (nella mitica San Gimignano) approdai negli USA presso la mia famiglia ospitante.

Ricordo ancora bene quando per la prima volta incontrai Barbara e Robert, i miei genitori americani che mi aspettavano a una stazione di autobus. Non sapendo bene come comportarmi diedi un bacio a Barbara sulla guancia: per entrambi una cosa strana. Sulla station wagon di Robert, una di quelle grandi macchine americane che ora vediamo nei film anni ’60, attraverso boschi e colline del Vermont arrivammo al luogo dove avrei passato il mio anno all’estero.

Era una casa di antica costruzione: dopo tutto il Vermont è uno dei primi territori colonizzati già nel ‘600 dai francesi, che gli dettero anche il nome. Stavamo alla periferia di una cittadina piccola ma a quel tempo attiva e vivace, tra valli e torrenti; il nome “Springfield” lo dice. A poca distanza, il fiume Connecticut con i caratteristici ponti di legno coperti. Insomma, un’America dal sapore antico ma al tempo stesso fervente di attività e iniziative, rustica e operaia, ma vicino ai centri culturali del New England e del Quebec.

Avevo quattro nuovi fratelli americani, tre maschi e la minore femmina. Più piccoli erano, lo avrei capito dopo, più aumentava il loro affetto per me.

Presi possesso della mia stanza nella grande casa, fitta di aquile americane, e mi fu data una radio a transistor con cui ascoltavo la locale stazione.

Con questa, più ancora che col grande televisore (a colori!) nel soggiorno comune, perfezionai la mia comprensione dell’inglese parlato, che fino a quel punto era scarsa. Più avanti Barbara mi avrebbe preso in giro, per quel mio far finta di capire quando ancora capivo poco. “Prendi corn flakes o cookies?” e io avevo risposto: “Yes”. Intanto, in quel fine estate ancora caldo, cominciavo a incontrare, nel pieno della (mia) confusione, i parenti, i vicini di casa (importantissimi) e gli amici/amiche dei miei fratelli. Avete presente i telefilm americani ambientati negli anni ’60 e ’70? Bene, io c’ero dentro in pieno.

Qualche settimana dopo cominciò la scuola, migliorò la mia comprensione dell’ambiente e la mia autonomia, e da lì partì l’anno più significativo della mia formazione, in cui imparai a stare a mio agio nell’America di allora.

La globalizzazione era lontana ancora vari decenni. Si cominciava appena a parlare dell’inquinamento come problema, la temuta “pollution”. Arrivavano notizie da una certa guerra in Vietnam, ma meno se ne discuteva e meglio era.

Al giorno d’oggi gli adolescenti hanno una base di conoscenze magari superficiale ma ampliabile a piacimento tramite la rete, e anche all’estero possono comunicare e mantenere contatti istantanei con il loro mondo. Nel 1970 io mi trovavo in un isolamento da cui potevo emergere con l’iniziativa personale e qualche fatica (scrivevo una lettera a casa alla settimana…).

In compenso, come studente straniero, potevo approfittare dell’immersione quasi totale nella comunità ospitante, che mi ricompensava con un’attenzione e interesse che gli stranieri, al giorno d’oggi, raramente ottengono.

Ringrazio sempre le mie famiglie, quella naturale e quella ospitante, per le opportunità che tramite AFS mi hanno regalato.

Guido